Vi è un gran parlare di vaccino per il melanoma ma la maggior parte delle persone che mi scrivono pensa al vaccino come ad una terapia preventiva dello stesso tipo di quella che si fa ad esempio contro l'influenza oppure contro il tetano.
Cerchiamo di fare chiarezza. Quando parliamo di vaccini anti-cancro non ci riferiamo a vaccinazioni di profilassi (cioè di prevenzione) ma a terapia mediante anticorpi specifici confezionati su misura contro la malattia in stadio avanzato.
Molte volte ho sottolineato la peculiare dipendenza di quella che io chiamo "malattia da melanoma" dalle condizioni immunitarie del paziente. Il rapporto immunità-cancro è da tempo studiato come una delle chiavi possibili (secondo me la più attuabile e concreta) per la soluzione vincente della battaglia contro i tumori. La strada dell'immunoterapia dei tumori è iniziata da circa un trentennio con le prime ricerche sulla possibilità di potenziare in generale le difese immunitarie contro le cellule tumorali. In effetti è quello che il sistema immunitario del nostro organismo fa quotidianamente, notte e giorno, senza che noi ce ne accorgiamo.
Ogni cellula ha sulla sua membrana esterna delle "bandierine" di riconoscimento (chiedo scusa se uso una terminologia non propriamente scientifica, tuttavia indispensabile per rendere comprensibile un discorso difficile destinato a lettori che non hanno la laurea in Medicina). Questi segnali di lettura sono gli antigeni di superficie che consentono alle "sentinelle" del sistema immunitario di riconoscere le cellule che appartengono al proprio corpo (self) da quelle estranee oppure da quelle diventate estranee perchè gravemente alterate (non self). Se il nostro sistema immunitario riconosce una cellula estranea, la attacca coi propri mezzi per distruggerla ed eliminarla. Le cellule tumorali sono attaccate da apposite sentinelle chiamate natural killer (NK); si ritiene che nel corso della vita ciascuno di noi possa sviluppare almeno 4 o 5 tumori, ma che non se ne ammali grazie all'efficacia della sorveglianza dei suoi NK.
Il melanoma è prioritariamente da tempo al centro degli studi sul rapporto immunità-cancro. Inizialmente si cominciò a trattare i pazienti stimolando in modo empirico il loro sistema immunitario con le più svariate sostanze, anche se le migliori risposte si dimostrarono quasi esclusivamente con l'impiego del BCG (il bacillo di Calmette e Guerin per la tubercolosi). In un mio lavoro scientifico pubblicato nel lontano 1976, pur evidenziando che indubbiamente il BCG qualche vantaggio in termini di sopravvivenza lo desse e lo continui a dare, scrivevo che l'immunoterapia aspecifica del melanoma rimane sub judice, variando nelle impostazioni e nelle risposte in misura troppo aleatoria, tanto che "ogni paziente trattato con BCG costituisce un modello d'indagine e di sperimentazione difficilmente confrontabile con gli altri".
Sicuramente un enorme passo avanti si verificò con la sperimentazione terapeutica dell'interferone (interferon alfa-2b ricombinante), il quale è in grado di stimolare i NK, stimolare i linfociti T infiltranti il tumore e soprattutto stimolare da parte della cellula tumorale la produzione di antigeni di istocompatibilità, "le bandierine" di riconoscimento. Sono stati provati molti protocolli terapeutici a riguardo, ma i migliori risultati si apprezzano somministrando dosaggi medio-bassi a dosi refratte (3 milioni di U.I/die per 3 volte la settimana) per via sottocutanea. Volutamente sottolineo la preferenza della via sottocutanea, possibilmente perilesionale, cioè nell'area ove si era sviluppato il melanoma, via sulla quale ho discusso molte volte con i miei Colleghi. (Ad es. quando presentai nel 1986 alcuni risultati di immunoterapia aspecifica con TP1 in occasione del workshop di Leningrado sulla Timostimolina, una sostanza che agisce per certi versi in modo molto simile a quello dell'interferone, sostenni fortemente la necessità di portare lo stimolo proprio nel sottocute laddove c'è la massima concentrazione di helper-linfociti). Tuttavia la vera novità nell'immunoterapia del melanoma doveva arrivare con l'introduzione dell'interleuchina-2 (IL-2), mai usata da sola, ma in associazione con l'interferone, ed eventualmente usata anche a sostegno di un ciclo di chemioterapia CVD (cisplatino, vindesina, dacarbazina). Personalmente ritengo che questa strategia terapeutica riceva un ulteriore potenziamento dall'impiego contemporaneo del tamoxifene; tuttavia devo riferire che molti studi non hanno evidenziato il medesimo vantaggio terapeutico da me osservato col tamoxifene.
Intanto negli anni 80 si perfezionavano gli studi sugli antigeni di superficie specifici delle cellule tumorali, cioè quelle "bandierine" peculiari della cellula tumorale. A questo riguardo il sistema immunitario produce degli speciali linfociti T (TIL) che infiltrano la massa tumorale e distruggono le cellule maligne con la loro attività citotossica. Per poter attaccare le cellule di un tumore, i TIL devono ovviamente prima riconoscerne le specifiche "bandierine", (che per le cellule neoplastiche sono degli antigeni maggiori di istocompatibilità di tipo I - HLA). Anche per il melanoma sono stati individuati svariati antigeni di superficie riconoscibili dai TIL. Inizialmente furono individuate 3 classi di antigeni, di cui la prima estremamente importante perchè specifica per il melanoma, mentre quelli della seconda classe sono comuni anche a tumori embriologicamente vicini al melanoma come glioblastomi e astrocitomi, e quelli della terza classe riscontrabili anche nei melanociti sani. Col perfezionamento dell'impiego degli anticorpi monoclonali (che consentono di individuare gli antigeni non già dal sangue del paziente ma sperimentalmente immunizzando animali con estratti di melanoma umano) sono stati identificati molti altri antigeni quali svariati peptidi (MAGE-1, MAGE-3, MART-1/Melan-A, gp100, TIROSINASI, CDK4). L'impiego di queste sostanze ha aperto la strada verso l'immunoterapia specifica del melanoma, il cosidetto "vaccino". Il vaccino consiste appunto nel somministrare l'antigene neoplastico al fine di stimolare una risposta efficace da parte del paziente contro il melanoma; per far ciò l'antigene può essere somministrato sotto forma di cellule irradiate di melanoma, oppure sotto forma di proteina intera o di singolo peptide. Innanzitutto occorre che le cellule tumorali del paziente abbiano lo stesso antigene che si intende utilizzare nel vaccino e che esprimano la molecola del complesso maggiore di istocompatibilità riconosciuta dai TIL in associazione a quel dato antigene; infine occorre che il sistema immunitario T cellulare del paziente funzioni e risponda agli antigeni del vaccino (pertanto può accadere che un centro non possa reclutare un paziente perchè non esprime lo stesso antigene che quel centro sta utilizzando per il vaccino). Pioniere di questa ricerche fu alla fine degli anni 80 Rosemberg, al quale - secondo me - tutti dobbiamo moltissimo. Oggi molti centri nel mondo ed in Italia seguono ricerche sperimentali sull'immunoterapia specifica del melanoma, spesso impiegando antigeni e strategie diverse.